sabato 18 ottobre 2014

Verso il girone unico: la Carta di Viareggio

Negli anni successivi alla prima guerra mondiale, il calcio aveva conosciuto un boom di popolarità eccezionale. Con la presa del potere nel 1922, il fascismo sfruttò il calcio con la sua potente attrazione sulle masse per i suoi scopi. Molti gerarchi entrarono nel mondo del calcio come dirigenti, altri come semplici tifosi. Già abbiamo parlato del bolognese Arpinati, ad esempio.
Ma fino al 1926, il fascismo si era tenuto fuori dagli organismi istituzionali del calcio italiano. Come avvenne l'entrata delle camicie nere nel mondo dell'organizzazione calcistica nazionale? L'occasione fu data dal campionato in corso in quel momento, il 1925/26 di cui già abbiamo visto i dettagli nel post di ieri. Quello di cui non avevamo ancora parlato, è che era in uso una lista di ricusazione degli arbitri. Praticamente una lista degli arbitri non graditi a determinate squadre (esisteva già allora, eh?). Da un lato la cosa si giustificava dal fatto che gli arbitri, fino ad allora, erano ex-giocatori o ex-dirigenti ed erano tesserati, ciascuno per un club. Per questo motivo, troppo spesso questi arbitri erano ritenuti di parte e quindi messi all'indice, ossia nelle liste di ricusazione. La cosa fece nascere una pesante contestazione, da parte della categoria arbitrale, che si manifestò con uno sciopero ad oltranza. La Lega Nord, che era responsabile della gestione degli arbitri per il campionato maggiore, si vide messa in difficoltà e tutto il suo Consiglio Direttivo diede le dimissioni in massa. Il presidente della Lega Nord però, non convocò un'assemblea per indire nuove elezioni, ma delegò i suoi poteri al CONI, ente già asservito al regime tramite il suo presidente, Lando Ferretti. Costui nominò una commissione di tre esperti che aveva il compito di redigere un documento su una nuova organizzazione del calcio italiano. Paolo Graziani, Italo Foschi e l'avvocato Giovanni Mauro, presidente dell'AIA, si riunirono a Viareggio ed in breve conclusero il lavoro loro assegnato e pubblicarono un documento il 2 agosto che fu rapidamente approvato dal CONI e reso operativo all'istante. Tale documento è conosciuto come la Carta di Viareggio.
La carta in sintesi regolava tutti gli aspetti del calcio italiano: statuto dei calciatori, organizzazione della Federazione e dei campionati.

Norme relative allo status dei calciatori
I calciatori venivano divisi in "dilettanti" e "non-dilettanti", aprendo in pratica al professionismo. La figura del calciatore "non-dilettante" stava a legittimare il malcostume che sempre aveva consentito lo svolgersi di forme clandestine di calciomercato e degli stipendi pagati ai giocatori più bravi sotto forma di rimborso-spese o di salari fittizi corrisposti dall'azienda facente capo alla proprietà della società di calcio. 
I casi più clamorosi di calciomercato furono:
  • il passaggio di Renzo De Vecchi dal Milan al Genoa nel 1913 per 24.000 lire;
  • il passaggio di Virginio Rosetta dalla Pro Vercelli alla Juventus nel 1923 per 50.000 lire;
  • il passaggio di Adolfo Baloncieri dall'Alessandria al Torino nel 1925 per 70.000 lire.
Veniva eliminato il vincolo territoriale per i calciatori. Non era più necessario risiedere nella provincia di residenza del club. 
In pratica si legalizzò il calciomercato e subito due società ne approfittarono:
  • il Torino che preleverà il centravanti Gino Rossetti dallo Spezia per 25.000 lire;
  • l'Inter che preleverà l'attaccante Fulvio Bernardini dalla Lazio per 150.000 lire.
Si stabilì anche la totale chiusura agli stranieri a partire dal 1928. Un guaio per parecchie società che nei propri ranghi contavano giocatori austriaci e ungheresi, cioè esponenti della famosa Scuola Danubiana, assai di moda all'epoca. Ovvio che si trovò subito il modo di aggirare la norma, specialmente per chi voleva comprare giocatori sudamericani, inventando il fenomeno degli oriundi.

Norme relative all'organizzazione calcistica
La Federazione veniva riorganizzata in maniera verticistica, analogamente a quanto succedeva nello Stato. Fu nominato un Direttorio Federale a capo del quale fu messo Leandro Arpinati. Costui, come primo atto, trasferì la sede della FIGC da Torino a... indovinate un po'... Bologna, ovvio.
Leghe e Comitati regionali furono sostituiti dal Direttorio Divisioni Superiori, due Direttòri Divisioni Inferiori Nord e Sud, Direttòri Regionali e il Comitato Tecnico Arbitrale Italiano che andava a sostituire l'AIA. A partire dal 1927, anche le nomine dei dirigenti dei club era sottoposta all'ESPF (Enti Sportivi Provinciali Fascisti), eliminando di fatto, dirigenti eventualmente invisi al regime.

Quanto al campionato, veniva creata la Divisione Nazionale, unica per tutta Italia, dove si giocava per vincere il titolo nazionale. Nel paese che il fascismo voleva costruire non poteva esistere una divisione fra campionato del nord e campionato del sud. Bisognava però pur tener conto della differenza tecnica abissale tra le squadre del nord e quelle del sud, che rimediavano sistematici "cappotti" dalle squadre del nord nelle finali per il titolo. Ed infatti la Divisione Nazionale si sarebbe articolata in 20 squadre divise in due gironi da 10 squadre ciascuno. Di queste 20 squadre, 17 sarebbero state del nord e 3 del sud e più precisamente:
  • le 16 squadre del nord aventi diritto a partecipare al massimo campionato della nuova stagione;
  • la diciassettesima del nord era da recuperare tra quelle retrocesse (Mantova, Reggiana, Legnano, Udinese, Novara, Parma, Alessandria e Pisa) e a tal fine fu organizzato un torneo di qualificazione tra le 8 retrocesse della precedente annata (vinse l'Alessandria);
  • le altre tre erano provenienti dalla ex Lega Sud, ossia le due finaliste Alba e Internaples, più la Fortitudo.
La scelta della Fortitudo come ultima squadra non era casuale: in primis era per dare visibilità alla capitale con due squadre, come già accadeva per molte squadre del nord, e poi "last but not least" era la squadra di cui Italo Foschi, uno dei tre esperti, era presidente.
Il secondo livello del calcio italiano veniva occupato dalla declassata Prima Divisione, alla quale furono iscritte tutte le squadre della vecchia Prima Divisione che non si erano qualificate per la Divisione Nazionale, altre ventidue squadre provenienti dalla Seconda Divisione e l'Anconitana che venne aggregata al gruppo delle squadre del nord.

Fusioni
La riforma strutturale dei campionati non poteva avvenire in molte città senza metter mano all'esistenza di molte società. Città come Milano, Genova e Roma avevano fin troppe squadre presenti ai massimi livelli. Altre come Firenze non avevano rappresentanti giacché il calcio in Toscana si era evoluto soprattutto nei centri portuali come Livorno e Pisa. Ma soprattutto i grandi centri urbani del centro-sud Firenze, Roma e Napoli non avevano squadre in grado di competere con gli squadroni del nord. Il marchese e gerarca fascista Luigi Ridolfi si fece promotore della fusione tra CS Firenze e Libertas per creare la Fiorentina che nacque il 26 agosto 1926.
A Roma invece le squadre erano numerose. Le più importanti erano la Lazio, l'Alba e la Fortitudo, che negli anni erano riuscite ad arrivare alla finale nazionale, rimediando sempre batoste colossali. L'ammissione di Alba e Fortitudo alla Divisione Nazionale richiese un'opera di rafforzamento dei club. Pertanto Italo Foschi, presidente della Fortitudo e componente della commissione che redasse la Carta di Viareggio, si rese promotore della fusione dell'Alba con l'Audace Esperia e della Fortitudo con la Pro Roma. Tali fusioni non furono sufficienti. Entrambe le compagini terminarono il campionato successivo in zona retrocessione. Il Foschi quindi fece un passo decisivo unendo Alba, Fortitudo e il FBC Roma, meglio noto come Roman, per creare una compagine più forte per rappresentare la capitale. Nacque così la Roma. La Lazio non partecipò al giro di fusioni, un po' per scelta dei propri dirigenti, un po' perché al regime faceva piacere che la capitale avesse due squadre come le città del nord. A Napoli il problema si era già risolto con la fusione che negli anni precedenti aveva portato alla nascita dell'Internaples. Ma il club era debole e così l'imprenditore Giorgio Ascarelli riunì attorno a sé i soci dell'Internaples ed altre forze nuove per creare una compagine più forte: il Napoli. Negli anni successivi al 1927 si verificarono altre fusioni come, ad esempio, a Bari dove Liberty e Ideale si fusero creando il Bari,  a Genova dove la Sampierdarenese fu fusa con l'Andrea Doria per creare La Dominante ed infine a Milano, dove l'Inter fu fusa con l'US Milanese per creare l'Ambrosiana.
Nuovi scenari si aprono per il calcio italiano. Stanno per arrivare Serie A e Serie B.

Nessun commento:

Posta un commento